Numero 13

Gennaio 2021

Pietra naturale e musei.

Un rapporto senza tempo.

Le pietre e i musei sono legati da una storia antica. Le gallerie delle corti rinascimentali (a Firenze, Mantova e Roma) custodivano i marmi rinvenuti negli scavi o conservati attraverso i secoli. I musei ne inseguivano la bellezza e si rispecchiavano in essi. Quando il patrimonio artistico diventò pubblico, la pietra e il marmo celebrarono la nascita delle nuove istituzioni: a Londra, Parigi, Vienna e Berlino. Tra Sette e Ottocento, le colonne e i timpani monumentali, le scalinate e i rivestimenti lapidei contribuirono a creare l’immagine più nobile delle collezioni nazionali.

Ai nostri giorni l’uso della pietra nell’architettura museale insegue una continua sperimentazione. Talvolta in chiave strutturale, più spesso come elemento espositivo. È soprattutto nei rivestimenti – interni o esterni – che i materiali lapidei partecipano al grado simbolico dei musei contemporanei. Il dialogo con il calcestruzzo, il vetro, il metallo e il legno diventa una costante stilistica e quasi una narrazione parallela a quella delle opere conservate. Ne deriva un intreccio indissolubile, un panorama di continue sorprese.

Mart, Rovereto

Getty Center, Los Angeles

Fondazione Beyeler, Basilea

Cleveland Museum of Art, Ohio

Centro Cultural de Bèlem, Lisbona

Aga Khan Museum, Toronto

Nuovo museo dell’Acropoli ad Atene

Centro Galiziano di Arte Contemporanea a Santiago de Compostela

Forse non esiste al mondo un museo che non presenti la pietra come ingrediente formale. Si pensi alla calda tonalità della Fondazione Beyeler a Basilea di Renzo Piano, all’algido rigore della James Simon Galerie di David Chipperfield a Berlino, al modernismo del Getty Center a Los Angeles di Richard Meier, alla sobria eleganza del Centro Galiziano di Arte Contemporanea a Santiago de Compostela di Alvaro Siza. Nessuno dei più famosi progettisti si è sottratto al confronto con questo tema: Vittorio Gregotti nel Centro Cultural di Bèlem a Lisbona; Mario Botta nel Mart a Rovereto; Fumihiko Maki nell’Aga Khan Museum a Toronto; Bernard Tschumi nel nuovo museo dell’Acropoli ad Atene; Rafael Viñoly nel Cleveland Museum of Art in Ohio. La lista è lunghissima e comprende ogni parte del mondo.

Dobbiamo ai maestri del Novecento il rinnovato interesse per l’architettura museale. Ad esempio la sensibilità di Carlo Scarpa, che dei paramenti murari fece una sorta di poema artigianale in tutti i suoi allestimenti museografici. Oppure il lirico accordo con la Pietà di Michelangelo dei B.B.P.R. nel Castello Sforzesco di Milano; il raffinato classicismo di Louis Kahn nel Kimbell Art Museum di Fort Worth in Texas; la geometrica espressività di Marcel Breuer nel Whitney Museum a New York. La pietra è sempre protagonista, i suoi valori tattili e cromatici amplificano ciò che il museo custodisce all’interno come un tesoro universale.

L’American Museum of Natural History.

Tra le istituzioni culturali di New York, l’American Museum of Natural History è particolarmente famoso e meta di milioni di visitatori. Al punto da essere una delle icone della metropoli e un set di film di successo. Se contribuisce la sua collocazione nel cuore di Manhattan, sul lato ovest di Central Park, non è secondaria l’immagine monumentale dell’architettura. La facciata in stile Beaux-Arts rende ancora più manifesta la vocazione simbolica del museo. Il possente ingresso ha la forma di un arco trionfale, una sorta d’invito a entrare nel mondo della conoscenza.

L’interno è organizzato secondo singole zone espositive, ognuna dedicata a specifiche sezioni tematiche. Già dall’atrio si comprende come l’intento educativo sia associato a una forte valenza scenografica. Il vasto ambiente evoca la maestosità di un’antica basilica romana e accoglie le moli, altrettanto impressionanti, degli scheletri di un barosauro e di un allosauro. Questa impronta spettacolare è comune a tutte le sale del museo, con punte di estrema suggestione. Il modello in proporzioni reali di una balenottera azzurra pende dal soffitto nella sala degli oceani. I diorami, le ricostruzioni ambientali, i display tecnologici, le teche e gli allestimenti d’avanguardia accompagnano il visitatore lungo un percorso labirintico.

Gli oggetti e i materiali dell’American Museum of Natural History sembrano coprire tutto lo scibile umano. Qui si mescolano il rigore scientifico, lo stupore e la sorpresa. Si fonde il senso della meraviglia con l’approccio della ricerca e dello studio. Il mondo dei fenomeni naturali è letto sia attraverso il collezionismo, sia come interpretazione sperimentale. La stessa storia dell’uomo è vista in chiave antropologica. Su tutto, un’idea di habitat che comprende le diverse aree geografiche del pianeta e si spinge verso orizzonti sempre più larghi.

Sotto il profilo architettonico il museo mette in mostra sé stesso come un cantiere in evoluzione. Dall’originario impianto rinascimento romanico alle aggiunte novecentesche; dalle recenti annessioni del planetarium agli ampliamenti in atto. Anche i criteri espositivi sono continuamente aggiornati: le rigide classificazioni ottocentesche sono stae trasformate in isole tematiche, veri e propri luoghi di immedesimazione. Il che ci porta a credere che la pulsante vita esterna di New York sia penetrata all’interno del museo.

Marmi Ghirardi e l’American Museum of Natural History.

Anche le pietre possono diventare uno show: così nel Museo americano di storia naturale di New York, che ha fatto della divulgazione scientifica un richiamo spettacolare per milioni di visitatori. Non solo i famosi scheletri dei dinosauri o la balenottera azzurra che pende dal soffitto, ma anche l’infinita gamma di minerali e gemme che raccontano la storia più segreta del nostro pianeta. Siamo invitati a osservare la crosta terrestre tra profondità e superficie, tra metamorfosi e trasformazioni della materia inorganica.

Con due speciali progetti Marmi Ghirardi è interprete del riallestimento delle New Allison and Roberto Mignone Halls of Gems and Minerals nel museo americano. L’azienda di Carpenedolo ha lavorato un blocco di Labradorite del Madagascar secondo le indicazioni del curatore museale. Tagliato un massellone delle dimensioni richieste, le facce sono state lucidate meccanicamente a specchio, mentre gli angoli sono stati trattati a scalpello. Il procedimento ha fatto risaltare le naturali fenditure della pietra e soprattutto la grana a “ghiande” molto grosse. Illuminata da studiati fasci di luce, la Labradorite offre lo splendido gioco di colori della composizione cristallina. L’azzurro e il verde spiccano come composizioni pittoriche, coinvolgendo l’osservatore in una seducente esperienza sensoriale.

La seconda pietra è ancora più affascinante. Marmi Ghirardi l’ha appositamente estratta dal sito minerario di Sterling Hill, nel villaggio di Ogdensburg, New Jersey. L’antica miniera di zinco e ferro è stata aperta nel XVII secolo, dunque è essa stessa importante nella storia degli Stati Uniti. Chiusa nel 1990, è oggi un museo e la sua fama deriva soprattutto dai numerosi materiali rarissimi se non addirittura unici. Tra questi la franklinite, la zincite e la willemite, che sono ossidi di zinco e ferro. Il cosiddetto Marmo di Franklin è di età precambriana, ovvero risalente a oltre un miliardo e centocinquanta milioni di anni. La roccia, quando colpita dai raggi UV, mostra un’altissima fluorescenza, i colori si accendono e spicca la natura di curiosità mineralogica.

In questa occasione, con la propria consolidata esperienza, Marmi Ghirardi si è occupata della direzione tecnica e l’ escavazione di un blocco di alcune tonnellate. Grazie alle attrezzature di tecnologia italiana e alla sapienza d’intervento e di consulenza, l’informe materiale è diventato un vero e proprio manufatto. La vertigine che ci procura l’incalcolabile dimensione delle ere geologiche, oggi si presenta ai nostri occhi nella forma di un oggetto museale. Un gioiello che incanta come un’opera d’arte.

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